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Il design è un approccio, non un processo, pertanto non può essere imbrigliato all’interno di uno schema rigido che consenta a tutte le aziende strutturate di inserirlo nei propri processi di sviluppo e innovazione. Questo è infatti il limite del “design thinking”, l’aver considerato il design un processo, perdendo così di vista la centralità dell’elemento creativo della disciplina progettuale.

Questo è il concetto espresso da Sigurdur Thorsteinsson in una recente intervista che per me è stato come una boccata d’aria fresca. In due frasi è riuscito a spiegare i motivi per cui il design non possa prescindere dai designer, come hanno tentato di fare molte aziende negli ultimi anni forti di una corrente di pensiero chiamata design thinking. A volte distorcendone la natura, ma ben felici di aver a disposizione l’esito di fare “design” senza avere tra i piedi i “designer”.

Se questo vale per il design vale per estensione a tutte le discipline creative, dalla pubblicità alle comunicazione, dal content editing al marketing, che nel suo sviluppo digital vede moltiplicati i touch point con le buyer persona di qualunque campagna, di awareness o orientata alla conversione.

Si perché con l’esplosione dei touch point nella comunicazione digitale si è moltiplicato il numero di momenti in cui il “messaggio creativo” entra in relazione con il proprio destinatario. Si sono moltiplicati in misura esponenziale i “momenti della verità”. Quegli istanti in cui deve avvenire la magia persuasiva, quegli istanti in cui grafica, immagini e parole non pussono fallire. Pena, il fallimento dell’intera campagna e di mesi di lavoro.

La creatività in tempi di digitale riacquista il proprio ruolo e con lei i creativi. Con il digital puoi raggiungere chi vuoi, quando vuoi e dove vuoi. Il risultato dipende da cosa succede nel momento del contatto. Si decide tutto in pochi istanti. O dentro o fuori. Come nel tiro a segno. La rosata deve stare nel nero. Se manchi il bersaglio la colpa non è mai del bersaglio, e anche in questo caso è una questione di millesimi di secondo.

Già, sembra che alla verità il tempo non serva. Succede tutto in un istante, o dentro o fuori.

I prossimi anni saranno cruciali, i creativi la loro partita la devono vincere oggi per recuperare il terreno perso dagli anni 80, prima che si inizi a pensare che anche il digital non funzioni. Non faccia vendere. Un po’ come quello che va al tiro a segno e non mette una palla nel cartellone e dà la colpa alla pistola, la stessa che 5 minuti prima in mano a un altro sportivo non ha messo un colpo fuori dal 10.

Ma la partita è anche delle imprese, che dovranno dare spazio e valorizzare i soft skill dei professionisti della comunicazione.

Che la creatività abbia un ruolo dominante in ogni campagna digital è dimostrato dalla diffusione dell’utilizzo degli A/B test, basta rigirare una frase e un messaggio riscuote il doppio o il triplo del consenso dell’altro. Figuriamoci allora se trascurassimo l’importanza di dare il giusto peso al lavoro della squadra creativa, dico squadra e non coppia perché ormai a fianco del copy e dell’art è indispensabile anche un esperto di inbound. Sì, la differenza la faranno la persone. E la partita si è appena aperta. Lo sostiene anche Jaques Séguèlà e se lo dice lui dovremmo crederci, visto che tra di noi credo non ci sia nessuno che non abbia mai letto “Hollywood Lava più Bianco”.