Parafrasando Jim Morrison, questa è la condizione dei consumatori più esigenti. Sono stati abbandonati in mezzo alla tempesta dai loro brand preferiti. Come è potuto succedere? Con la disintermediazione commerciale.
Tutti pensano che con la crisi economica le aziende siano rimaste senza clienti. In realtà si è verificato anche il fenomeno opposto; molti clienti sono rimasti senza “aziende”. Ma non perché queste abbiano chiuso i battenti, ma perché la disintermediazione nella distribuzione e nella comunicazione di prodotto ha impedito ai consumatori di diversi mercati di intercettare i prodotti a cui erano orientati. Molti hanno perso le tracce dei loro brand preferiti, improvvisamente scomparsi dai negozi.
Spesso sono stati gli stessi negozi a scomparire, sostituiti dalle grandi superfici. Nel caso della distribuzione al dettaglio di prodotti manifatturieri per esempio, negli ultimi 10 anni, 9 negozi su 10 hanno chiuso, sostituiti spesso da quella distribuzione organizzata che non tratta quei prodotti considerati di “nicchia”, quelli di artigianato industriale, ovvero le eccellenze del comparto manifatturiero made in Italy. Dai guanti da uomo in pelle cucita a mano, ai prodotti per la cucina e la tavola di alto livello e di design.
Colpo di scena!
Anche le grandi superfici stanno entrando in crisi.
Negli Stati Uniti anche i grandi “mall” chiudono uno dopo l’altro e presto accadrà anche da noi!
Siamo infatti abituati a pensare che ci sia stato un calo della domanda, ma se ci soffermiamo a pensare c’è stato anche un calo dell’offerta, osservando il fenomeno dal punto di vista dei consumatori d’alta gamma.
Nella mentalità dell’imprenditore, un calo del fatturato e l’impossibilità di vedere da vicino l’apprezzamento dei propri prodotti attraverso la propria rete distributiva o di traffico presso il proprio stand in occasione delle fiere, viene spesso erroneamente interpretato come un calo della capacità di acquisto nel proprio mercato o come un calo di interesse generale verso il suo prodotto.
In realtà se riuscisse a vedere che questo fenomeno è solo un effetto della disintermediazione digitale gli sarebbe molto più semplice trovare i mezzi e i canali per riallacciare i rapporti con i proprio consumatori, rimasti orfani della sua offerta. Si, perché là fuori è rimasta viva una domanda consapevole del suo manufatto e probabilmente in questi 10 anni di black out si è sviluppata una community di domanda latente che andrebbe alimentata di informazioni e cultura del brand, tutta da convertire in tanti funnel di acquisto.
Sono proprio i canali digitali, che hanno generato il “black out”, gli strumenti più efficaci da attivare per far riprendere quota ai fatturati di queste imprese e per ampliare il loro mercato che, nel frattempo, è diventato globale, soprattutto per i prodotto figli dell’estro creativo italiano, del design e dell’innovazione che, da sempre, distingue la produzione della nostra penisola.