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L’innovazione è un atteggiamento. Un approccio al lavoro figlio della propria cultura professionale.
Prima di chiedersi come e se innova l’impresa nel nostro Paese, è bene chiedersi se il nostro Paese ha o meno una cultura orientata all’innovazione. Il made in Italy si è sempre distinto per la sua forte vocazione all’innovazione sul prodotto, ma solo su quello; tranne nei casi – rari – di aziende orientate al design e alla cultura progettuale.
Ma il prodotto è solo una parte del valore di un’offerta “commerciale”. Questo era vero già quando Jacques Seguela fondava RSCG e parlava di fisicocarattere e stile come elementi caratterizzanti il successo di un prodotto, ed erano i primi anni 80.

Solo oggi, in cui ci si accorge che la crisi iniziata nel 2008 non è una congiuntura ma un cambiamento d’epoca strutturale, in cui i modelli di sviluppo conosciuti non funzionano più, le aziende italiane si accorgono dell’esistenza del marketing. Peccato che il marketing è legato ai medesimi modelli di sviluppo entrati in crisi.

Il marketing in realtà può funzionare ancora, purché prima dell’acronimo si anteponga la parola digital. 

Sul “digital” le aziende italiane sono impreparate e questa impreparazione genera una grave diffidenza, anche più marcata di quanto non lo fosse quella verso il marketing negli anni fini a prima della crisi.

Ritornando alla domanda iniziale, questo significa che le nostre imprese non sono orientate all’innovazione. Fanno prodotti straordinari, ma gli imprenditori dovrebbero uscire dalla zona di comfort e cercare di vedere cosa c’è dietro al loro “smartphone”. Un mondo che si chiama “realtà virtuale” in primo luogo perché è a tutti gli effetti una realtà, anzi è “la realtà”. La realtà digitale.

Ma la cosa non finisce qui. Pensare di rapportarsi all’ambiente esterno attraverso i canali digitali, prevede un’ulteriore cambio di mentalità. Un cambio di mentalità radicale, perrché dovrà coinvolgere l’organizzazione dell’azienda e dei suoi processi. Dovrà cambiare l’organizzazione del flusso di lavoro.